La Convenzione di Ginevra ha compito nel 2021 70 anni di vita, contribuendo a proteggere –attraverso la definizione giuridica del termine rifugiato- milioni di persone in tutto il mondo.
Il diritto di asilo presenta origini antichissime, tali da poter dire che ha accompagnato per intero il percorso compiuto dal genere umano e si lega direttamente alla condizione di chi, percependo il pericolo per la propria persona, chiede protezione presso un luogo che preservi la sua stessa vita.
Il termine asilo affonda le sue radici linguistico-culturali nella Grecia antica ed è composta dal prefisso “a” e dal verbo “syláo” (catturare, violentare, devastare) e significa “senza cattura”.
Nella tradizione greca e poi in tutta l’antichità, a una concezione religiosa-sociale del luogo che rendeva lo stesso inviolabile o immune, si contrapponeva il riconoscimento di privilegi concessi alla persona. Si aveva quindi l’”asilo” che s’identificava nel luogo sicuro in cui poter trovare protezione e il “diritto d’asilo”, inteso come privilegio personale concesso alle persone straniere.
La secolarizzazione del diritto all’asilo ha coinciso con lo sviluppo degli Stati Nazione, in questo nuovo contesto l’asilo riconosciuto dalla Chiesa viene considerato un ostacolo all’affermazione della sovranità dello Stato e un’invasione nella sua sfera di competenza. Il diritto ad ammettere o escludere stranieri dal proprio territorio diviene diretta espressione della sovranità statale e del principio di supremazia territoriale.
Solo con l’affermarsi dell’Età Contemporanea comincia a prevalere la categoria degli asilanti in fuga da persecuzioni politiche invece che religiose. Una prima codificazione del diritto di asilo è contenuta nella Costituzione Francese del 1783, mai entrata in vigore, dove l’articolo 120 stabiliva che “Il popolo francese dà asilo agli stranieri banditi dalla loro patria per la causa della loro libertà”. Tuttavia, a parte questa citazione, sono stati necessari moltissimi anni, prima che il diritto di asilo venisse concepito a livello internazionale non unicamente come diritto consuetudinario.
Soltanto alla fine della Prima Guerra Mondiale, con la disgregazione degli imperi russo, austro-ungarico e ottomano e con la nascita di una pluralità di nuovi stati europei, al problema dei rifugiati degli apolidi e degli sfollati viene riconosciuta una dignità di carattere internazionale, che necessitava di una adeguata soluzione.
Gli sforzi internazionali dedicati all’assistenza degli sfollati vennero presi sotto l’egida della Società delle Nazioni e di Fridtjof Nansen, Alto Commissario per i Rifugiati. Il periodo tra le due guerre mondiali ha effettivamente visto nascere una serie di strumenti internazionali relativi ai rifugiati. Più che all’asilo, però, questi strumenti facevano riferimento al rilascio di certificati d’identità da usarsi come documenti di viaggio.
Il 9 novembre 1943 i Paesi occidentali crearono l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Assistenza e la Riabilitazione (UNRRA). Principale obiettivo dell’Agenzia era quello di collaborare per assistere economicamente i Paesi usciti danneggiati dal conflitto, nonostante ciò riuscì a fornire assistenza alle centinaia di rifugiati e di sfollati.
Dopo l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale di tale Organizzazione trasferì le competenze dell’UNRRA all’Organizzazione internazionale per i rifugiati, con mandato limitato fino al 1952, istituita allo scopo di affrontare l’enorme problema dei rifugiati ereditato dalla Seconda Guerra Mondiale. Il suo statuto costituisce il primo tentativo di codificare il termine “rifugiato” e di stabilire che tipo di protezione dovesse riconosciuta da parte degli Stati. Tra gli obiettivi dell’OIR rientravano l’identificazione, l’integrazione e l’eventuale rimpatrio dei rifugiati. Nonostante tutti gli sforzi l’OIR non riuscì, però, a risolvere il problema dei rifugiati e in vista dello scadere del suo mandato, l’Assemblea generale diede vita, il 3 dicembre 1949, all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Fino ad allora l’unico documento internazionale che richiamava il diritto d’asilo era la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo approvata il 10 gennaio 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il cui Articolo 14 comma 1 stabilisce che: “ognuno ha il diritto di chiedere e di ottenere asilo dalla persecuzione”. Tuttavia, questo non stabilisce alcun obbligo per gli Stati Contraenti. Vi è quindi una dicotomia tra la facoltà degli Stati di concedere asilo e l’inesistenza di un diritto soggettivo dell’individuo ad ottenerlo. La formulazione della norma è frutto di un compromesso tra gli Stati e della volontà degli stessi di conservare un margine di discrezionalità nella definizione della materia, quale diretto corollario del principio di sovranità nazionale. Comunque, l’obiettivo primario della Dichiarazione del ‘48 era quello di influenzare, guidare e dirigere le politiche degli Stati in una prospettiva rivolta a far acquisire rilevanza ai diritti dell’uomo e ad imprimervi carattere universale.
Gli anni ’50, invece, produssero importanti cambiamenti che segnarono un diverso approccio in materia di diritto d’asilo: nel 1950 venne istituito l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il cui fine era quello di fornire assistenza legale e materiale ai rifugiati, e nel 1951 venne adottata la Convenzione di Ginevra sullo Status di Rifugiato, entrata in vigore il 22 aprile del 1954.
I requisiti che un richiedente asilo deve avere al fine di poter ottenere lo status di rifugiato sono contenuti nello statuto dell’unhcr e si basano sul fondato timore di essere personalmente perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità o opinioni politiche. Successivamente nella Convenzione di Ginevra la definizione è stata integrata attraverso l’inclusione, tra le cause di persecuzione, dell’appartenenza ad un particolare gruppo sociale. In ogni caso vengono esclusi dalla possibilità di ottenere lo status di rifugiato, coloro che non riescono a dimostrare di essere personalmente perseguitati.
La Convenzione di Ginevra sullo Status di Rifugiato del 28 luglio 1951, approvata dalla Conferenza dei Plenipotenziari delle Nazioni Unite sullo status dei Rifugiati e degli Apolidi svoltasi a Ginevra dal 2 al 25 luglio 1951, è considerata la Magna Carta della protezione internazionale dei rifugiati. Si tratta, infatti, del più importante strumento normativo in materia, sia per il suo contenuto sia per il numero di Stati aderenti. Bisogna tuttavia sottolineare che, nonostante la sua importanza e nonostante regoli lo status di rifugiato in maniera rigorosa, la Convenzione non menziona, se non nel Preambolo, il diritto d’asilo.
Per la prima volta in un accordo internazionale si ha una definizione generale dei soggetti che possono considerarsi “rifugiati”, ciò conferisce alla Convenzione del 1951 una portata universale. Il termine di “rifugiato” è applicabile a chiunque (…) nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.
Il concetto di “persecuzione” è direttamente connesso alla mancanza di protezione offerta dallo Stato di appartenenza, mentre “l’agente di persecuzione” si riferisce non solo allo Stato, ma anche agenti non statali quali, ad esempio, gruppi ribelli, comunità specifiche, famiglie o clan, e sette religiose capaci di perseguitare in situazioni in cui il Governo statale è assente, incapace di garantire una protezione adeguata o addirittura incoraggi tali pratiche.
Sebbene la Convenzione di Ginevra abbia segnato una svolta in materia di rifugiati, scontava due anomalie che ne condizionavano la portata universale, il c.d. limite temporale ed il c.d. limite geografico. Il limite temporale rappresentava un limite assoluto, attraverso cui gli Stati aderenti volevano evitare di assumersi responsabilità nei confronti di ipotetici futuri rifugiati, per questa ragione decisero di limitare l’applicazione della Convenzione unicamente agli eventi precedenti il 1° gennaio del 1951. Con il limite geografico, gli Stati membri decisero di limitare il raggio d’azione dell’accordo unicamente per coloro che potevano essere considerati rifugiati in seguito di avvenimenti accaduti in Europa.
Queste due limitazioni sono stati successivamente superati grazie all’adozione della Risoluzione delle Nazioni Unite numero 2198 del dicembre 1966, seguita dall’adozione del Protocollo di New York firmato il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967.
Il Protocollo di New York estende la sfera di applicazione della Convenzione a tutti i rifugiati definiti a norma dell’Articolo 1 della Convenzione, eliminando il limite temporale, inoltre, non prevede la possibilità di porre limiti geografici alla sua applicazione.
Vi è, inoltre, un ulteriore lacuna nella Convenzione di Ginevra e riguarda il cosiddetto limite giuridico, secondo il quale il riconoscimento dello status può avvenire unicamente nei confronti di coloro che riescono a dimostrare di essere personalmente perseguitati. Tale previsione discrimina ed esclude coloro che fuggono da conflitti sia a livello locale che internazionale.
Bisogna comunque considerare che dalla Convenzione di Ginevra emerge unicamente il diritto a chiedere asilo e non ad ottenerlo, anche se in realtà un limitato diritto all’asilo, inteso come il diritto a non essere espulsi verso un determinato Paese, piuttosto che un vero e proprio diritto ad essere protetti, deriva indirettamente dall’Articolo 33 comma 1 della Convenzione di Ginevra, a norma del quale è stabilito il principio del non refoulement.
Il principio di non respingimento stabilisce il divieto per lo Stato di espellere uno straniero verso un Paese in cui possa correre il rischio di subire persecuzioni. A norma dell’Articolo 33 comma 1 della Convenzione di Ginevra nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. Il principio del non respingimento di fatto riduce il c.d. limite giuridico ancora in vigore nella Convenzione di Ginevra.
Resta, comunque la constatazione che, a 70 anni dalla Convenzione di Ginevra; su oltre 80 milioni di migranti forzati nel mondo solo poco più di 20 milioni ricade nell’ambito della definizione di rifugiato per come espressa della Convenzione stessa.
Viene spontaneo, allora, chiedersi se la stessa definizione di rifugiato non abbia la necessità di una qualche manutenzione in un mondo ormai profondamente mutato. Disastri ambientali, guerre, carestie sembrano essere ragioni altrettanto valide, al pari della persecuzione individuale per indurre un fondato timore di pericolo di vita, allineando la protezione garantita dalla Convenzione di Ginevra a quella offerta da molti Stati a profughi, la cui minaccia incombente non ricade nell’ambito delle cinque categorie protette dalla Convenzione stessa.