In più occasioni si è parlato e discusso delle differenti modalità di accoglienza dei migranti o dei rifugiati e di un confronto tra di esse, valutando pro e contro. L’esperienza che abbiamo affrontato negli ultimi mesi, legata all’emergenza sanitaria di carattere globale e condizionata dalla sua influenza, ha fatto riscontrare una netta rivincita del sistema di accoglienza diffusa, con la quale i beneficiari sono inseriti nel tessuto sociale in appartamenti privati, rispetto all’accoglienza nei grandi centri, quali ad esempio i CAS (centri di accoglienza straordinaria).
In questi centri, per esempio, i richiedenti non godono di particolari servizi o diritti, ma per loro altro non è che una situazione di stallo in attesa di un verdetto da parte della commissione, il quale molto spesso è negativo. In più, essendo stata ridotta la rete degli operatori, poco si è fatto a livello formativo ed informativo in questo periodo di pandemia, col risultato che i beneficiari si sono trovati da soli e all’oscuro di indicazioni pratiche di comportamento per la prevenzione, rischiando quindi di essere un pericolo per se stessi e per la comunità. Esperienza assolutamente opposta è quella vissuta dai beneficiari dell’accoglienza diffusa, i quali sono stati costantemente informati dagli operatori, che hanno inventato metodi alternativi per tenersi sempre in contatto, non potendosi recare fisicamente sul posto.
Infatti, essi si sono attivati affinché parte delle attività in programma continuassero, ovviamente a distanza, per occupare il tempo obbligatoriamente libero e per proseguire il percorso formativo. Gli operatori, di fatto, si sono qualificati ulteriormente per rispondere alle esigenze e per poter lavorare in maniera efficiente. Questo “sacrificio” è stato apprezzato dai beneficiari, i quali si sono interessati a loro volta degli operatori e si sono prestati al volontariato sociale per aiutare le persone in difficoltà.
Per concludere, l’aver vissuto questa grave difficoltà sanitaria ha evidenziato quanto sia importante occuparsi l’uno degli altri per il bene collettivo, accettare tutte le sfumature sociali e dedicarsi a tutti coloro vivono in una condizione di vulnerabilità, senza distinzioni.