Dal 2001 ogni 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato. L’evento è stato voluto dalle Nazioni Unite per celebrare il 50° anniversario della Convenzione sullo status dei rifugiati, anche conosciuta come Convenzione di Ginevra, sottoscritta proprio il 20 giugno del 1951.
Con questo documento si definisce lo stato di “rifugiato” e si affermano i diritti dei migranti forzati e gli obblighi legali degli Stati di proteggerli.
Il principio fondamentale è quello del non respingimento (non-refoulement): nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate.
Milioni di persone costrette a fuggire dalla propria terra d’origine ad abbandonare la propria casa, i propri affetti a causa di guerre, carestie e difficoltà economiche: i rifugiati sono tra le persone più vulnerabili ma troppo spesso trattate da “invisibili”, sottoposte a violenza, persecuzione o violazione dei diritti umani. La Giornata Mondiale del Rifugiato nasce con lo scopo di sensibilizzare sul tema dell’accoglienza e della tutela dei diritti inalienabili che spettano a tutti gli esseri umani indistintamente.
Quest’anno ricorre il 70° anniversario dell’approvazione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati (Convention Relating to the Status of Refugees) da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Ogni anno l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) seleziona un tema comune per coordinare gli eventi celebrativi in tutto il mondo. Il tema comune di quest’anno è “Insieme possiamo fare qualsiasi cosa” (Together we can do anything).
In base ai dati Onu, ogni minuto 20 persone lasciano tutto per sfuggire a un destino di dolore e miseria e in tutto il mondo sono oltre 80 milioni le persone costrette ad abbandonare la propria terra, la casa e gli affetti a causa di conflitti e persecuzioni. Tra questi vi sono quasi 30 milioni di rifugiati, di cui più della metà ha meno di 18 anni.
Le persone costrette a fuggire dalle loro case spesso lottano per ricostruire un futuro in dignità. I rifugiati sono persone con i nostri stessi sogni, aspettative e necessità. Non solo numeri o statistiche, ma individui e famiglie reali che cercano di ricominciare una nuova vita in dignità e sicurezza. Per far sì che questo accada, hanno bisogno di un luogo dove possano essere accolti e che dia loro l’opportunità di ricostruire un percorso di vita al riparo dalle minacce e dalla violenza.
Non bisogna mai stancarsi di ripetere che i richiedenti asilo sono persone in fuga per evitare di subire violenze o persecuzioni a causa del proprio credo religioso o della propria appartenenza a un determinato gruppo etnico o politico, o per le proprie inclinazioni sessuali, o a causa di conflitti armati o di massicce violazioni dei diritti umani.
Ricominciare per loro vuol dire anche mettere a disposizione della società che li accoglie la propria esperienza, le competenze acquisite e la cultura di origine, risorse preziose per la società che li ospita e per il bene comune.
Durante la pandemia di COVID-19 abbiamo compreso che solo se ognuno fa la propria parte possiamo creare un mondo più sicuro per tutti. Insieme possiamo fare la differenza.
Lo stretto di Sicilia non deve essere il mare della morte e della disperazione, ma quello della speranza, del futuro e dell’umanità.
“La protezione della vita umana, il salvataggio dei profughi, il sostegno ai sofferenti nelle crisi umanitarie, l’accoglienza dei più vulnerabili, sono impegni cui la Repubblica Italiana con l’Unione Europea e le organizzazioni internazionali non si è mai sottratta”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.
La Giornata mondiale del rifugiato è stata ricordata anche dal Papa Francesco all’Angelus. “Apriamo il nostro cuore ai rifugiati, facciamo nostre le loro tristezze, le loro gioie, impariamo dalla loro coraggiosa resilienza. Cosi tutti insieme faremo crescere una comunità più umana, una sola grande famiglia”, ha sottolineato Francesco.
Bisogna dimostrare che si può investire sulla speranza. Non dobbiamo rassegnarci ad un mondo sempre più chiuso nel particolarismo e nell’egoismo. Non possiamo rassegnarsi a far crescere i nostri figli in un mondo incanaglito dalla xenofobia e dal razzismo.
La sicurezza dei cittadini, che pure ci sta molto a cuore, deve andare di pari passo con un profondo senso di giustizia e di umanità, per questo dire “io non respingo“ significa ribadire un concetto di cittadinanza che va al di là del confronto politico contingente che non ci riguarda.