Mentre a Roma, durante uno dei suoi discorsi, Matteo Salvini pronunciava la frase “la pacchia è finita!” riferendosi agli immigrati ed al suo punto di vista politico ed umano a tal proposito, concetto ormai a tutti noto, per un ragazzo in Calabria la pacchia finiva davvero.
Si tratta di Soumaila Sacko, un ventinovenne maliano, ucciso con un colpo di fucile sparato da un uomo sulla sua macchina bianca, che ha pensato bene di “farsi giustizia”.
Indignata e dispiaciuta, la giornalista e scrittrice Bianca Stancanelli ha scritto un libro per permettere a tutti di sapere e per non dimenticare, edito da Zolfo Editore, dal titolo “La pacchia. Vita di Soumaila Sacko – nato in Mali, ucciso in Italia”.
Il libro vuole essere, ovviamente, la voce narrante della storia di vita di questo ragazzo: ripercorre, infatti, il suo lungo viaggio iniziato in Mali, proseguito in Libia, a Taranto e poi a San Ferdinando, verso quello che credeva il suo “porto sicuro” e che in realtà si è trasformato nel suo porto di arrivo definitivo; allo stesso tempo, però, vuole essere un grido di disappunto verso questo triste destino che accomuna molte persone ancora, purtroppo.
Soumaila Sacko lascia in Mali una moglie ed una figlia piccola ed è stato ucciso perché aveva un animo buono e voleva aiutare due persone a trovare delle lamiere per costruire una baracca, in nome di quello strano legame chiamato amicizia. Lui, sindacalista attivo a sostegno dei diritti umani, ucciso da qualcuno che l’umanità non sa neanche cosa sia. Lui, che è arrivato in Italia con la speranza di un futuro migliore, sacrificandosi per ricongiungersi prima o poi alla famiglia, ma che si è abbattuto in una situazione ben più grande di lui, perché ha combattuto contro pregiudizi, ignoranza e razzismo, contro una disarmante politica di sfruttamento lavorativo degli immigrati, la stessa politica che in pochi denunciano.