“Se la medicina vuole raggiungere pienamente i propri fini, essa deve entrare nell’ampia vita politica del suo tempo, e deve indicare tutti gli ostacoli che impediscono il normale completamento del ciclo vitale […] la medicina è una scienza sociale, e la politica è una medicina su larga scala.” Così asseriva il patologo tedesco Rudolph Virchow. Era il 1888.
La pandemia di coronavirus ha complicato ulteriormente le vite dei migranti.
Per comprendere meglio le dinamiche socio-economiche in relazione all’emergenza sanitaria, è possibile dal 28 ottobre consultare i dati del Dossier Statistico Immigrazione 2020 . Lo studio è stato realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS con il Centro Studi e Rivista Confronti, supportato dall’8×1000 della Tavola Valdese.
Fin dal mese di marzo 2020 l’intervento sanitario sulle frange migranti in Italia constava di un ritardo di 8 o 10 giorni rispetto al resto della popolazione. I migranti erano inoltre esposti ad un maggior rischio di ospedalizzazione con quadri clinici più gravi.
Evidentemente, anche a causa di diagnosi non tempestive, da imputare ad un non tempestivo ricorso a strutture o figure ospedaliere.
La pandemia ha sicuramente esacerbato le ingiustizie sociali e sottolineato i dislivelli nell’accesso alla sanità pubblica di base (o privata). È facile risalire ai fattori economici, sociali, ambientali e lavorativi scatenanti. Infatti, le comunità di stranieri non sono state colpite dal virus in egual misura. Sul finire della quarantena, la percentuale di stranieri in rapporto al numero di casi totali è aumentata per poi diminuire a fine luglio, momento in cui è aumentato il numero di casi importati, riconducibile perlopiù alla mobilità degli italiani di ritorno dai viaggi all’estero.
Nel Dossier si può notare come oltre il 30% degli immigrati in età lavorativa siano key worker, ovvero lavoratori nel settore dei servizi essenziali (sanità, assistenza, pulizie…).
In Italia il Decreto Rilancio (Decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020) che prevedeva una sanatoria proprio per gli immigrati attivi nei settori dell’assistenza, del lavoro domestico e dell’agricoltura, ha visto la candidatura di molte meno domande rispetto alle stime iniziali. Perché?
Per l’impostazione della sanatoria stessa, legata alla volontà del datore di lavoro e all’esclusione degli ambiti lavorativi della ristorazione, del magazzinaggio, del commercio…
Eppure, durante l’emergenza sanitaria si è registrato un aumento di circa il 20% dei lavoratori stranieri, parallelamente ad un peggioramento delle condizioni lavorative, un incremento dell’orario lavorativo ed un peggioramento della retribuzione.
L’Italia, nonostante vari tentativi di smantellamento dell’impianto pubblico in favore di quello privato, è sicuramente un paese che gode di un sistema sanitario più inclusivo rispetto ad altri. Anche per ciò che concerne la tutela della salute dei migranti. Ma oggi è necessaria un’evoluzione. Forse bisognerebbe favorire la promozione della salute attraverso politiche di natura intersettoriale, piuttosto che insistere con un approccio di tipo assistenzialistico.
Occuparsi della salute del popolo migrante significa prestare attenzione all’evoluzione dei servizi sanitari e delle politiche migratorie. Ci sono persone, contesti e storie da tenere presente quando si vuole legiferare. E quando si vuole curare.
I nostri ragionamenti in materia devono essere sempre guidati dal presupposto che “ogni forma di conoscenza, ivi inclusa quella scientifica e medica, non può che essere un prodotto storico-culturale che, in quanto tale, prende forma attraverso specifici assunti circa la natura dell’essere umano, della malattia e, in ultima analisi, della realtà” .
Alle porte di un nuovo periodo di quarantena, ancora una volta, dovremo chiederci: la salute è un diritto o un privilegio?
Vignetta di @eccosaria